Solo la divisione Garibaldi “Natisone” riuscì a non essere del tutto scompaginata dai rastrellamenti autunnali

La grandiosa rinascita dell’estate del 1944 che vide ampliare il numero e l’importanza delle operazioni militari, il controllo di larghi territori (anche in pianura) e la realizzazione delle zone libere, in cui i partigiani crearono sostegni più forti con la popolazione che uscì allo scoperto intervenendo attivamente nella vita sociale e amministrativa, fu il punto di massimo sviluppo politico-sociale e militare della guerra di Liberazione: mai come allora le popolazioni civili vennero coinvolte in pieno, sia nel sostegno alle formazioni che nella partecipazione alla lotta antifascista. La Resistenza iniziò ad assumere le proporzioni di un movimento di massa.
Negli ultimi mesi del 1944 si assistette alla grande avanzata delle armate sovietiche (tra agosto e ottobre invasero la Romania, la Bulgaria ed entrarono in Jugoslavia), ma si registrò anche la drammatica controffensiva tedesca nelle Ardenne e lo stallo, sul fronte italiano, delle truppe angloamericane.
Da settembre, in concomitanza con l’esaurirsi della spinta alleata contro la “linea gotica” nell’Italia centrale, i tedeschi ebbero mano libera contro i partigiani. La risposta tedesca all’offensiva estiva della Resistenza fu particolarmente dura. Cominciò così, nel settembre del 1944, la maggiore offensiva sferrata dai nazifascisti contro lo schieramento partigiano della regione e, in particolare, contro le formazioni che presidiavano le zone libere del Friuli. La repressione si scatenò brutale e indisturbata fino a dicembre: in tre mesi i fascisti e i nazisti rioccuparono tutte le zone libere e inflissero alle forze di liberazione un colpo gravissimo, procurando lutti e sofferenze indescrivibili alle popolazioni sulle quali si riversò il terrorismo antipartigiano. I tedeschi, per esempio, smembrato il vasto territorio libero della Carnia sistemarono i cosacchi (collaborazionisti o avversari storici dell’Armata Rossa) a garanzia dell’ordine in quei luoghi, dando loro l’autorità di chiamare il territorio “Kosakenland”. Secondo i piani tedeschi, confermati da un telegramma del capo dell’ufficio centrale delle SS, generale Berger, “sarà per i cosacchi una cosa da niente ripulire il territorio dai banditi”. Secondo alcuni dati i caucasici e i cosacchi sarebbero stati presenti in zona con circa 40.000 uomini, 6.000 cavalli e 50 cammelli e si sistemarono in 44 località (dette stazioni), diventando i nuovi sanguinari “padroni” della Carnia, imponendo il loro potere, le loro leggi e cambiando il nome di alcuni paesi (Alesso, per esempio, diventò Novecerkask) <84.
Il nemico si prefisse l’obiettivo di recuperare una zona di vitale importanza dal punto di vista strategico (rendere transitabili e sicure le vie di fuga verso l’Austria, lungo la quale si facevano pervenire i mezzi di sussistenza e le armi per le forze tedesche e si facevano passare le tradotte dei deportati), logistico ed economico (bestiame e prodotti agricoli e industriali trasportati dall’Italia verso il Reich), ma soprattutto volle vendicarsi delle sconfitte militari subite dai “banditi” italiani.
Fra ottobre e dicembre 1944 la repressione tedesca si scatenò anche nella pianura friulana.
A tal riguardo è doveroso segnalare l’arrivo a Palmanova, il 1° novembre 1944, della 2^ compagnia del I° battaglione del V° reggimento della Milizia per la Difesa Territoriale (Sonderkommando), per affiancare il lavoro della già presente stazione della Polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza <85. Comandante di questa compagnia era il capitano delle SS Herbert Packebusch, coadiuvato da alcuni sottufficiali appartenenti alla divisione X Mas e da circa 50 uomini. La Compagnia della Milizia per la Difesa Territoriale trasformò, allestendovi le prigioni, la caserma “Piave” di Palmanova in un centro di torture <86.
Insieme con un plotone aggregato della 24^ brigata SS dei cacciatori del Carso, guidato dal capitano Odorico Borsatti (uno dei più feroci aguzzini), seminarono il terrore nella Bassa friulana andando a caccia di partigiani e di collaboratori del movimento di liberazione. Si ha la notizia di circa 500 persone catturate e imprigionate, di cui più di 200 morte per le atroci torture o giustiziate, compreso lo stesso “Montes” <87. A Palmanova si idearono diverse fasi e procedimenti della tortura. Si incominciava sempre con una “bastonatura elementare” e via via si passava allo strappo di unghie, testicoli, orecchie, naso e perfino degli occhi. Fu adibito un vano, detto “cella del paradiso”, nel quale chi era introdotto non usciva vivo. Si impiegarono, inoltre (oltre ai soliti espedienti quali l’ingerimento di acqua e sale, i bagni d’acqua ghiacciata e bollente, ferri roventi e pugnali sulle carni vive) la corrente elettrica, strumenti di richiamo medievale come lo schiacciacranio (un anello a chiodi da sistemare sulla fronte), l’impiccagione all’uncino (particolarmente lenta e dolorosa) e, la pratica più disumana ed atroce, la squartatura <88, praticata all’aperto.
L’Intendenza Montes si disgregò. Sopravvissero alcuni reparti G.A.P. ingrossati da coloro i quali riuscirono a tornare a casa dai monti. Il movimento di pianura fu profondamente colpito.
La caccia ai “banditi” s’inasprì ovunque e i partigiani furono costretti dappertutto sulla difensiva, sottoposti come furono ad una durissima e permanente pressione che non cessò dopo l’offensiva autunnale, cercando almeno di salvaguardare le basi di rifugio e di rifornimento nella certezza di un altro inverno di lotta. In montagna i rastrellamenti si susseguirono: i rapporti di forza, secondo una ben precisa tattica, erano di 10 a 1 per i tedeschi <89. Nel settembre 1944 la zona orientale divenne bersaglio di una potente offensiva nemica che infranse il fronte partigiano e devastò Nimis, Attimis, Faedis ed altri numerosi comuni e frazioni.
Solo la divisione Garibaldi “Natisone” riuscì a non essere del tutto scompaginata dai rastrellamenti autunnali.
I partigiani, braccati, ridussero al minimo le loro fila ma non mollarono. L’armamento era ridotto, l’equipaggiamento carente, le scorte minime, i collegamenti e gli spostamenti difficili per la neve. Molti furono i morti, soprattutto a causa delle ferite che non si poterono curare o di malattie e congelamenti. Molti furono catturati. Le formazioni di montagna, per sfuggire all’accerchiamento e ai raid nemici, si spostarono continuamente cercando di rintanarsi in luoghi di difficile accesso per il nemico, venendosi a trovare, di conseguenza, isolate dai vertici militari e politici del movimento.
Il 9 settembre 1944, Edvard Kardelj, il più alto dirigente sloveno, scrisse al Comitato Centrale del P.C.I. chiedendo perentoriamente che tutti i reparti italiani operanti nelle zone rivendicate dal Fronte di Liberazione sloveno e croato passassero alle loro dipendenze (la cosiddetta svolta jugoslava). Il C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) ruppe allora le trattative con l’O.F. (Osvobodilna Fronta, Fronte di liberazione nazionale). Solo i comunisti continuarono a discutere con gli jugoslavi.
Le reazioni e le prese di posizione di Togliatti e del P.C.I. italiano su questa disputa con gli jugoslavi furono molto importanti, lasciando un segno indelebile in regione. All’inizio avallarono la proposta jugoslava, salvo avere a novembre un deciso ripensamento, probabilmente troppo tardi per rimediare alle conseguenze innescate dalla prima condotta: infatti il 7 novembre la divisione Garibaldi “Natisone” <90 accettò la dipendenza operativa dal IX Korpus e venne sottratta alla lotta nella nostra regione <91.
Il battaglione “Mazzini” giunse nella zona libera di Cerkno, sede del comando del IX Corpo d’Armata di liberazione jugoslavo, il 28 novembre; fu seguito dal resto della divisione, che varcò l’Isonzo la notte di Natale. La divisione “Natisone”, pur operando fino alla fine della guerra alle dipendenze del IX Korpus, mantenne i suoi effettivi e rimase una formazione italiana, parte integrante delle divisioni Garibaldi <92.
La scarsa chiarezza nelle direttive da seguire impartite dai vertici comunisti italiani, fu causa di gravi incomprensioni con le altre forze combattenti italiane e con buona parte della popolazione che si sentì tradita dai comunisti e minacciata dalla vicinanza dei reparti sloveni, privata com’era della presenza della divisione “Natisone”, il più forte reparto italiano partigiano di tutta la regione, l’unico ancora intatto dopo l’offensiva tedesca. Ma accanto alle motivazioni principali di carattere politico che portarono la “Natisone” in Slovenia, se ne affiancarono delle altre di carattere strategico-logistico: secondo i comandi e i combattenti della “Natisone” non era possibile riuscire a mantenere in zona una divisione talmente numerosa sotto l’incalzare dei nazifascisti. <93
Il trasferimento della “Natisone” comportò la rottura del Comando Unico con la 1^ brigata Osoppo, ancora formalmente esistente, e accelerò il riconoscimento del C.L.N.A.I. da parte del governo Bonomi (che avvenne, su pressione alleata, il 26 dicembre 1944).
[NOTE]
84 I cosacchi e i caucasici furono condotti in Friuli dalla Bielorussia nella seconda metà del 1944, particolarmente nell’agosto. I cosacchi erano guidati dall’Atamano generale Sergej Vasiljevic Pavlov, poi ucciso e sostituito dal suo capo di stato maggiore generale Timofej Ivanoviv Domanov (T. FERENC, cit., pp. 59-61). Altre informazioni sui cosacchi in Carnia si trovano in G. A. COLONNELLO (cit., pp. 207-210), in M. KOSCHAT (L’occupazione cosacca della Carnia nell’estate 1944 in “Storia contemporanea in Friuli”, anno XXX, n. 31, I.F.S.M.L., Udine, 2000) e in F. FABBRONI (L’occupazione cosacca della Carnia e dell’Alto Friuli in “Storia contemporanea in Friuli”, anno XIV, n. 15, I.F.S.M.L., Udine, 1984, pp. 89-118).
85 T. FERENC, pp. 38-39.
86 R. PUPO, Crisi del regime, guerra totale e Resistenza, in “Friuli e Venezia Giulia storia del ‘900”, LEG, Gorizia, 1997.
87 DINO VIRGILI, Nazisti e fascisti in Friuli. La fossa di Palmanova, Del Bianco Editore, Udine, 1970.
88 Consisteva nel legare le gambe del torturato a due cavalli che, tirando in direzioni diverse, lo squartavano letteralmente (G. A. COLONNELLO, cit., p. 338).
89 Tommaso Argiolas, ufficiale dello Stato Maggiore italiano, scrisse il libro “La guerriglia: storia e dottrina” in cui afferma che gli studi fatti portano alla constatazione che un esercito regolare deve essere nei confronti del movimento di guerriglia, in un costante rapporto di 10 a 1.
90 La Garibaldi “Natisone” fu la più grande unità garibaldina della regione con una forza nell’estate 1944 fra i 2000 e 2500 uomini; aveva difeso, insieme alla 1^ brigata Osoppo, dall’attacco tedesco la zona libera orientale (I. DOMENICALI – G. FOGAR, cit., p. 54).
91 Secondo G. A. COLONNELLO (cit.), la dipendenza operativa fu convalidata dal C.V.L.
92 Ivi, p. 61.
93 Testimonianze orali di ex-combattenti della “Natisone”.
Alessio Di Dio, Il Manzanese nella guerra di Liberazione. Partigiani, tedeschi, popolazione, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2002-2003

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Pensionato di Bordighera (IM)
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