Ho passato in quel rifugio più di un paio d’ore in attesa di un cessato allarme che non arrivava mai

Il porto di Ancona dopo un bombardamento della seconda guerra mondiale. Fonte: Wikipedia

Così mentre Ancona continua a ricevere sfollati dalle città del Nord, gli anconetani iniziano ad abbandonare la propria città, nella convinzione che di lì a poco, agli allarmi sarebbero seguiti i bombardamenti veri e propri che prendono il via, come detto, il 16 ottobre [1943], colpendo la stazione ferroviaria che nelle settimane, successive all’equivoco annuncio di Badoglio, aveva registrato l’arrivo e la partenza di migliaia di militari e civili in fuga, come ricorda Mario Tagliacozzo, ebreo, scappato da Roma il 15 di settembre: “arriviamo in Ancona alle 2.30 […] Ci avviamo alla sala d’aspetto ma non riusciamo ad entrarvi perché è gremita, come gremito è il porticato della stazione e perfino le scale dei sottopassaggi. Dovunque scale, panchine, marciapiedi sono occupati da gente che dorme, sdraiata per terra in tutte le posizioni, soldati accatastati gli uni sugli altri e bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi” <381.
L’impatto emotivo del primo bombardamento su Ancona è forte su tutta la comunità regionale, almeno su quella parte che vive nei centri urbani ed è informata di quanto accaduto alla stazione dorica e del numero di vittime (165) <382 che l’incursione aerea ha causato. Tre giorni dopo ad Ascoli, la notizia di un possibile bombardamento, da origine ad un esodo caotico dal centro cittadino: “oggi alle 13 – scrive un testimone – si è sparsa la voce che gli inglesi avrebbero bombardato la città. Un fuggi fuggi generale. Tutti andavano a godersi lo spettacolo della distruzione dalle colline vicine portando valigie, banchetti, biancheria ecc… Nessuno è venuto e questa sera tutti stanno facendo ritorno” <383.
Dopo il bombardamento del 1 novembre che colpisce i quartieri più antichi e popolari nelle vicinanze del porto, molte famiglie che vivono nel centro cittadino, abbandonano la città: “ho subito il bombardamento del primo novembre mentre ero andata a prendere l’acqua in piazza Roma, vicino ai vigili del fuoco. Poiché lavoravo nelle ferrovie dello stato sono corsa al rifugio sotto il palazzo delle ferrovie di piazza Cavour. Mi sono trovata vicino ad una signora che – vedendo la mia paura – mi faceva ripetere di continuo: Dio passa, Dio è passato e col suo sangue mi ha lavato. Questa specie di preghiera non l’ho più dimenticata […] Ho passato in quel rifugio più di un paio d’ore in attesa di un cessato allarme che non arrivava mai, poi ci ha avvisato la milizia ferroviaria. Quando sono uscita ho visto uno spettacolo che non dimenticherò più: i palazzi erano sventrati, le strade interrotte, polvere e calcinacci dappertutto, in piazza Roma una pellicceria in fiamme […] A casa intanto erano preoccupati per la mia sorte, questo avvenimento ha fatto decidere mio padre a lasciare Ancona per trovare scampo nei paesi vicini” <384.
L’esodo diventa a questo punto incontrollato e assume le dimensioni ricordate nel paragrafo precedente. Alla fine di dicembre, migliaia di residenti hanno lasciato le loro case, seguiti da coloro che erano sfollati qui precedentemente, provenienti da altre regioni: “la città dopo i primi bombardamenti violenti subiti, che fecero strage specialmente nei quartieri popolari – si legge in una relazione inviata dalla federazione anconetana alla direzione centrale del PCI nel dicembre del 1943 – si è spopolata; le fabbriche hanno cessato qualsiasi lavoro degno di rilievo, la popolazione si è riversata nella campagna e nei paesi vicini” <385. Il centro cittadino presenta ora scenari di desolazione materiale, mentre le autorità civili e militari faticano a mantenere l’ordine pubblico, come si evince da una missiva partita dalla filiale anconetana della Benelli: “qui la vita diventa ogni giorno più difficile anche perché tutti ci hanno abbandonato. Non passa notte che non ci siano rapine e scassinamenti ed è un squallore che stringe il cuore specie dopo l’imbrunire, alle 6- 6 ½ bisogna tapparsi in casa. Speriamo che Dio ci aiuti come finora si è segnato di fare, ma certo che il prossimo avvenire si presenta tutt’altro che roseo” <386.
L’istinto di sopravvivenza spinge dunque migliaia di famiglie a cercare la salvezza nei comuni minori, ritenuti immuni dal rischio dei bombardamenti. In questa situazione, la fuga, segue itinerari personali, casuali, sempre meno dettati da legami familiari e amicali, oramai difficilmente esperibili per via dell’enorme flusso di persone in cerca di un riparo sicuro. In quelle settimane giungono a Camerano 3.500 sfollati che raddoppiano la popolazione del comune; ad Ostra, nel dicembre del 43, si contano 2.000 sfollati che diventano 2.500 nelle primavera successiva, arrivando ad aumentare di oltre 1/3 la popolazione residente <387. Molti piccoli centri divengono così saturi, rischiando il collasso civile ed economico.
Una situazione analoga, forse più grave, si registra nel pesarese, dove Pesaro e Fano sono pesantemente e ripetutamente colpite dai bombardamenti aerei e navali. Come Ancona anche Pesaro, si trasforma da luogo di ricezione di sfollati (sono oltre 3.000 i cittadini provenienti dal Nord Italia) <388 a zona di sfollamento, dapprima volontario, poi, a gennaio, imposto secondo le disposizioni delle autorità militari tedesche <389. A partire dal mese di novembre, si assiste “ogni giorno, ad ogni ora” allo “stesso spettacolo”: “un carro fermo dinnanzi a una casa che si vuota di mobili e di masserizie che vengono avviate alla campagna, così a poco a poco la città si spopola”; a gennaio, in città “non arriva alcun giornale, né lettere”, solo la radio “tiene ancora uniti al mondo”, mentre “i mezzi di trasporto sono tutti impegnati nello sfollamento che ha assunto proporzioni imponenti: si vedono lungo le strade di campagna teorie di carri di ogni sorta: a motori, a cavalli, trainati da buoi e taluni da persone che portano mobili, casse, letti, lontano dalla città, oltre dieci chilometri, poiché così è stato ordinato”; alla fine di febbraio “la popolazione civile è in gran parte scomparsa”, sostituita da un’altra popolazione “composta di soldati tedeschi” e “s’odono così favelle diverse, si scorgono un po’ dappertutto indicazioni che non sono nulla nella nostra lingua”; “le belle fanciulle dipinte come tavolozze, le consolatrici, le bionde signore eternamente giovani si sono rifugiate nei paesetti, nelle ville, nelle case di campagna ed hanno trascinato con se tutta una folla di parrucchieri, profumieri, merciai, sarte ecc. così ché per procurarsi un oggetto necessario bisogna far l’inverso di quello che accadeva una volta, recarsi cioè dalla città ai centri nuovi” <390.
Come nell’anconetano, anche nel pesarese, queste migrazioni dalla costa in direzione dei centri collinari, e poi, successivamente, in coincidenza dell’approssimarsi delle truppe alleate in preparazione dell’offensiva sulla linea Gotica <391, verso la campagna vera e propria, producono in qualche caso situazioni di sovrappopolazione e di sovraffollamento decisamente pesanti. Gli sfollati da Pesaro e da Fano, vanno infatti a sommarsi a nuclei consistenti di sfollati arrivati in precedenza dalle città bombardate del Sud e del Nord Italia, segnando l’inizio di una nuova fase nella vita di questi piccoli paesi, dove l’allargarsi del fenomeno dello sfollamento e l’approssimarsi dello scontro militare, determinano il rapido deterioramento degli equilibri sociali ed economici. Se i dati delle rilevazioni condotte dal comando alleato nei vari comuni della provincia dopo la liberazione, mettono in evidenza una media tra il 15 e il 20 per cento in più rispetto alla popolazione normale (con l’eccezione di Pesaro) <392, in alcuni casi l’incidenza degli sfollati è ben superiore come nel caso del comune di Mombaroccio, in cui l’arrivo di 3.500-4.000 pesaresi raddoppia la popolazione già presente <393, o del comune di Urbino, divenuto, dopo l’evacuazione di Pesaro, il centro di gravitazione di tutta la provincia, la cui popolazione era ovunque aumentata, secondo un censimento dell’AMG da
23.400 a 31.700 abitanti <394.
E’ facile intuire come questo fenomeno dello sfollamento non abbia solo posto le autorità e le istituzioni di fronte ad una serie di problemi di ordine pubblico, di approvvigionamenti annonari, di tutela sanitaria e di edilizia abitativa ma che di fatto abbia comportato nuove strategie demografiche, come testimoniano i dati riportati nel paragrafo precedente. Nell’immediato, il problema alimentare che fino a quel momento aveva toccato solo marginalmente questi piccoli centri, in gran parte rurali, diventa un problema impellente. I generi alimentari che vengono distribuiti non sono sufficienti a sfamare tutti e anche qui, come nelle città, una parte della popolazione che non può beneficiare direttamente dei frutti della terra, deve ricorrere al mercato nero: “Qua” – lo scrivente si riferisce a Saltara, comune a ridosso di Pesaro – “ci sono molti sfollati e così non c’è più nulla e se c’è qualche cosa è molto caro, l’olio 5 o 600 lire al fiasco, il lardo 150 lire al chilo e un uovo £.8” <395. In termini sociali, l’emergenza alimentare colpisce maggiormente gli abitanti dei borghi, gli artigiani e i braccianti. I coloni e i piccoli coltivatori, che avevano abitudini alimentari basate sulle risorse del podere e dunque abbastanza indipendenti dal mercato cittadino, sono colpiti in misura minore dalle difficoltà manifestatesi nel sistema di approvvigionamento dei generi alimentari <396. La situazione andrà peggiorando nella tarda primavera del 1944, in coincidenza del passaggio del fronte che ritarderà i lavori agricoli compromettendo la qualità del raccolto e a causa delle razzie compiute dall’esercito tedesco in ritirata. A Mombaroccio, nell’autunno del 1944, solo l’intervento delle truppe alleate che trasportano 200 quintali di farina, permetterà ai forni di riprendere a funzionare <397.
[NOTE]
381 M. Tagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale 1938-1944, Milano, Baldini & Castaldi 1998, p. 95.
382 G. Bertolo, Le campagne, le Marche, cit., p. 296, nota 55.
383 Avb, Fondo S. Severi, Prefettura di Pesaro – Relazione delle commissione censura postale, 19 ottobre 1943.
384 Testimonianza di Rusina Dubbini, riportata in G. Campana e Mario Fratesi 1943-1944: bombardamenti aerei su Ancona e Provincia, in P. Giovannini (a cura di), L’8 settembre nelle Marche. Premesse e conseguenze, cit, p. 131.
385 Documento citato in G. Bertolo, Le campagne, le Marche, cit., p. 302.
386 Avb, Fondo S. Severi, Prefettura di Pesaro – Commissione Provinciale di Censura Pesaro. Copia degli stralci della quindicina dal 1 al 15 Gennaio 1944. Stralcio n. 1 – 22 dicembre 1943 . Mitt. F.lli Benelli. Filiale di Ancona – Dest. Adrio Rastelli presso F.lli Benelli, via Mosca 2 – Pesaro.
387 R. Lucioli, Sfollamento, mobilità sociale e sfaldamento delle istituzioni nella provincia di Ancona, cit., p. 57.
388 S. Adorno, Lo sfollamento a Pesaro, cit, p. 286.
389 Ibidem, p. 290, E. Collotti, Notizie sull’occupazione tedesca nelle Marche attraverso i rapporti della Miliataekommandantur di Macerata, in Resistenza e Liberazione nelle Marche, Atti del convegno di studi nel XXV della Liberazione, Urbino 1973, p. 169.
390 I. Finzi Bonasera, Lettere dalla “Linea gotica” (1943-1945), selezione a cura di F. Bonasera, Cagli, Edizioni PR 2003, lettere del 29 novembre 1943, 8 gennaio 1944, 25 febbraio 1944.
391 G. Bertolo, Le campagne, le Marche, cit., p. 301; S. Adorno, Lo sfollamento a Pesaro, cit., p. 293.
392 S. Adorno, Lo sfollamento a Pesaro, cit., p. 293
393 P. Sorcinelli, La guerra e la gente: percorsi e fonti per la ricerca fra storia sociale e archivi locali, cit., p. 216.
394 S. Adorno, Lo sfollamento a Pesaro, cit., p. 290.
395 Avb, Fondo S. Severi, Prefettura di Pesaro – Commissione Provinciale di Censura Pesaro. Elenco Stralci dal 1 al 15 febbraio 1944. Stralcio n. 8. 31.1.44 Mitt. Torrelli Rosa. Saltara (Pesaro). Dest. Operaio Torrelli Ettore. Lager 48 Bar 6 st 5 Ling a/2. Germania.
396 L. Gorgolini e L. Tarantino, Consumi e condizioni sociali, cit., p. 1023.
397 G. Pedrocco, I comuni dell’entroterra pesarese di fronte ai problemi della guerra, in G. Rochat, E. Santarelli, P. Sorcinelli (a cura di), Linea Gotica 1944. Eserciti, popolazioni, partigiani, cit., p. 277.
Luca Gorgolini, Un lungo viaggio nelle Marche. Scritti di storia sociale e appunti iconografici dal web, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2005-2006

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Pensionato di Bordighera (IM)
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