La visione della bandiera bianca aveva ingannato le forze partigiane dislocate nei dintorni di Arco

Arco (TN). Fonte: Wikipedia

Di fronte alla «ritirata aggressiva» <24 dei tedeschi, si sviluppò l’azione del CLN di Trento, dei CLN periferici e dei reparti partigiani dipendenti. Gli obiettivi delle forze resistenziali erano quelli «di disarmare e catturare i soldati, di iniziare trattative con i tedeschi per una reciproca non aggressione, di difendere gli impianti industriali e le costruzioni civili nonché i magazzini dove era stato ammassato dai tedeschi ingente materiale». Nonostante le difficoltà di comunicazione, molti di questi scopi operativi furono realizzati «in maniera se non pacifica, almeno poco cruenta» <25, ma non tutti e non così facilmente. A rallentare l’azione dei CLN e dei partigiani intervenne un fattore imprevisto che, giunto sulla scena accanto a tedeschi e sbandati di qualsiasi tipo e nazionalità, li colse completamente alla sprovvista: la popolazione civile. Come se non bastasse, l’organizzazione ciellenistica trentina affrontò gli ultimi giorni del conflitto duramente provata dalla lotta sostenuta con le forze di polizia germaniche nei mesi precedenti. In una relazione stesa nel dopoguerra, si evidenziava come l’azione dei CLN trentini fosse stata ostacolata dall’occupazione tedesca.
Sotto un «regime di terrore», l’organizzazione di Comitati e comandi periferici era stata resa impossibile dalle attività di repressione messe in atto dai tedeschi che avevano portato più volte allo smantellamento dello «stesso CLN Provinciale <26 [CLNP] per l’arresto dei componenti». Nel biennio 1943-1945, in Trentino, operarono clandestinamente non più di «una quindicina» di CLN. Nei giorni della liberazione, il loro numero aumentò sensibilmente, poiché «sorsero per interessamento delle formazioni partigiane e dei patrioti della Provincia dei CLN comunali e frazionali in quasi ogni Comune ed in molte frazioni» <27.
Le difficoltà affrontate nel corso della lotta clandestina e la debolezza strutturale dei CLN trentini inevitabilmente dovevano ripercuotersi al momento dell’insurrezione e, ancora, nei mesi successivi. Innanzitutto, occorre precisare la forma che alcuni CLN presero nelle giornate insurrezionali ed i problemi di ordine pubblico che dovettero affrontare sin dagli inizi. Si deve tener conto del caos rappresentato dalla contemporanea presenza di unità militari tedesche e repubblicane, di passaggio o stanziate in diverse località della provincia.
Le formazioni partigiane si trovarono spesso lontane dai centri urbani e poterono dare il loro contributo solo in un secondo tempo. Non sempre, quindi, i Comitati si svilupparono da pre-esistenti organizzazioni clandestine antifasciste, ma rappresentarono il risultato di deliberazioni prese a tavolino da esponenti amministrativi, militari e anche religiosi. In altre parole, la vecchia élite dirigente.
Ad Arco, ad esempio, il 27 aprile 1945 si riunirono il vice podestà Italo Samuelli, il colonnello Luigi Isnenghi, il capitano Valerio Ioppi, il tenente De Finetti, il tenente Remo Cattoi, il tenente Miorelli, il maresciallo aviere Barboncini, il maresciallo dei carabinieri Pistori, il capo delle guardie Grisenti, il segretario comunale Bertolucci, padre Azzolini e il «Mons. arciprete». Scopo della riunione era quello di mantenere l’ordine pubblico «in vista del precipitare degli avvenimenti politici e militari» e «soprattutto evitare possibili distruzioni e saccheggi al momento della ritirata delle truppe tedesche» <28. Innanzitutto, fu decisa la costituzione di un «comitato» sotto la guida del tenente colonnello Isnenghi. Nello stesso tempo, il podestà Giulio Carloni fu incaricato di trattare con un reparto della Repubblica sociale italiana (RSI) <29 installatosi a Romarzollo la cessione delle armi e dell’equipaggiamento di cui era in possesso. Poche ore dopo, il comitato si riuniva per fare il punto della situazione. L’incontro con gli ufficiali della RSI si era risolto in un nulla di fatto. Inoltre, «il Comandante militare di piazza» tedesco di villa Igea <30 si era detto «allarmato» per le iniziative prese dagli italiani e richiedeva immediate spiegazioni. Ciò nonostante, il Comitato dispose «il servizio di controllo ai magazzini viveri» assegnando il compito di sorveglianza a «pompieri, guardie e carabinieri». Se per il calzaturificio, le officine Caproni e la centrale elettrica locali erano già state prese alcune contromisure, si avvertiva la necessità di prendere al più presto contatto con i responsabili partigiani, «con Venturini <31 ed altri esponenti dei vari partiti».
Il 28 aprile, recatosi a Riva del Garda per ritirare un carico di zucchero, Samuelli notò sulla strada di ritorno ad Arco il continuo e rapido «esodo dei militari tedeschi, feriti, ammalati ed anche sani». Giunto in Municipio, il podestà lo incaricò di recarsi al comando tedesco di villa Igea. La narrazione di Samuelli è interessante proprio per l’accavallarsi frenetico e convulso di eventi e di episodi difficilmente gestibili. I tedeschi, in allerta per i movimenti partigiani e per le truppe alleate che stavano risalendo il lago di Garda, non erano rimasti inattivi. «Il Capitano Amort <32» ed i suoi ufficiali avevano preparato un manifesto con cui s’informava la popolazione circa l’istituzione del «coprifuoco» ed il divieto assoluto di «assembramenti». Secondo il vice podestà, una resa sembrava fuori discussione visto che gli ufficiali parlarono semmai di «una possibile resistenza» <33. Nel primo pomeriggio del 28 aprile, tuttavia, la situazione precipitò rapidamente. I tedeschi – «comprese le SS, la Gendarmeria, il Cobold [Kobold] <34» – cominciarono il ripiegamento abbandonando progressivamente la zona, mentre la popolazione si diede ai «saccheggi». Samuelli si portò quindi alla gendarmeria recuperando tutte le armi possibili – comprese quelle da caccia – radunandole in Comune e tentando poi d’impedire le razzie ai depositi di viveri e a Villa Igea, già sede del Comando tedesco. Mentre tentava di allontanare la gente che si era radunata nell’edificio, Cesare G. <35, uno dei tanti che si erano dati al furto indiscriminato, lo minacciò «con la pistola». «Un gruppo di SS», sopraggiunte «con un autocarro», «ad armi
spianate» fece «uscire tutti i civili» dall’ex comando. Una volta ripartite, «la popolazione» riprese «a saccheggiare tutte le case abbandonate». Anche il sindaco, giunto nel frattempo sulla scena, non riuscì a fermare la folla. Visto che la situazione era ormai al di fuori di ogni controllo, il Comitato guidato dal colonnello Isnenghi inviò un messaggio «al Comandante Parolari <36» e ai partigiani invitandoli ad intervenire e contemporaneamente diede disposizioni per «esporre» una «bandiera bianca sul castello [di Arco]».
La notte tra il 28 e il 29 aprile trascorse con l’organizzazione di pattuglie miste che, composte «di cittadini armati in unione con i carabinieri […] per il servizio d’ordine», avevano il compito di controllare le vie cittadine. Fortunatamente, nonostante «una breve sparatoria a scopo intimidatorio» con alcuni tedeschi attardatisi nella ritirata, non si ebbero né vittime né feriti. Al mattino, passate le consegne al capitano Ioppi, Samuelli andò a dormire. Rientrato in Comune, il vice podestà incontrò Romolo Crosina <37 che, in rappresentanza dei partigiani, dichiarò «illegale» «la costituzione del comitato». Inoltre, biasimò che si fosse esposta «la bandiera bianca» e affermò d’essere «autorizzato ad assumere i poteri civili e più specificatamente di subentrare nelle mansioni di Samuelli» <38.
La visione della bandiera bianca aveva ingannato le forze partigiane dislocate nei dintorni di Arco. Convinti che il presidio tedesco si fosse arreso o avesse intenzione di trattare la cessione delle armi, il 28 aprile i partigiani erano scesi in città. All’improvviso, una mitragliatrice aveva iniziato a sparare e i partigiani si erano dovuti ritirare portando con loro «quattro feriti» <39. Nel rievocare i giorni dell’insurrezione, Giovanni Parolari <40 attribuì all’inatteso conflitto a fuoco con i tedeschi il motivo principale che portò alla destituzione dell’intera amministrazione comunale locale. Per mezzo di Crosina, il comando partigiano dispose «lo scioglimento dello pseudo CLN di Arco presieduto da Italo Samuelli», accusato di «non aver controllato quanto stava avvenendo». Assieme a Samuelli, fu destituito il sindaco Carloni. Nell’attesa «che il Sindaco designato dal Comando partigiano nella persona di Giovanni Morandi assumesse la direzione dell’Amministrazione comunale», Crosina ricoprì momentaneamente l’incarico di «Commissario provvisorio del Comune di Arco» <41. Finalmente, nel primo pomeriggio del 29 aprile, giunsero ad Arco «due incaricati del CLN di Trento», Giovanni Gozzer <42 e Ivo Monauni <43, i quali consegnarono a Samuelli, assente Crosina, «i manifesti ed i bracciali per il sotto comitato comunale da costituire subito secondo le direttive provinciali». Nei riguardi delle truppe tedesche, raccomandarono la massima prudenza, «pur cercando di impedire distruzioni o saccheggi» <44. La battaglia per la liberazione di Riva, Arco e di tutto il Basso Sarca <45 terminò solo il 2 maggio 1945 con la partecipazione di partigiani e soldati americani della 10a Divisione di montagna <46.
[NOTE]
24 MAIDA 2002: 64.
25 VADAGNINI 1978: 271.
26 Dopo l’eccidio del 28 giugno 1944, dove il neo-costituito Comitato guidato da Giannantonio Manci fu decapitato ad opera della Gestapo e molti dei suoi componenti principali trovarono poi la morte, tra cui lo stesso Manci, nei mesi successivi il CLN di Trento fu più volte colpito. Ancora nel marzo 1945, ne furono catturati tutti i membri.
27 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio AC, Comitato provinciale di liberazione nazionale di Trento, Ufficio collegamento comitati comunali. Relazione sull’organizzazione politico-amministrativa dei CLN comunali della Provincia di Trento, 12 novembre 1945, 1945, busta 8, fasc. 53.
28 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti penali Corte d’assise ordinaria, Memorandum, 1947, fasc. 15/47.
29 La Repubblica sociale italiana, o Repubblica di Salò – dal nome della località sul lago di Garda sede del governo – fu un ente statuale autonomo costituito il 23 settembre 1943 nei territori dell’Italia centro-settentrionale all’indomani dell’armistizio e della liberazione di Mussolini. Si confronti GANAPINI 1999 e DE GRAZIA – LUZZATTO 2003: 494-499.
30 A partire dall’ottobre 1943, la zona di Arco e Riva del Garda era diventata sede di comandi militari e di polizia, sezioni d’intendenza e, soprattutto, ospedali militari dove affluivano i soldati tedeschi feriti sul fronte meridionale. Si confronti GARDUMI 2008: 338-342.
31 Arcadio Venturini (Arco, 9 ottobre 1900). Pittore. Comunista e partigiano combattente, fu tra i dirigenti principali della resistenza nel basso Sarca militando nei Battaglioni Gobbi, della Brigata Eugenio Impera, e Monteforte.
32 Amorth Federico (Merano, 8 dicembre 1906). Segretario d’albergo. Capitano delle SS di stanza ad Arco dopo aver combattuto sul fronte russo tra il 1941 e il 1942. Detenuto dal 19 febbraio 1946, fu giudicato nel giugno 1946 e condannato a 10 anni di reclusione in relazione alle sue responsabilità nell’eccidio del 28 giugno 1944. Nel dicembre 1946, la Corte Suprema di Cassazione dichiarò estinti i reati ascritti ad Amorth in virtù del decreto presidenziale (DP) d’amnistia del 22 giugno 1946.
33 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti penali Corte d’assise ordinaria, Memorandum, 1947, fasc. 15/47.
34 Stab-Kobold. Unità militare addetta alla riparazione e al rifornimento degli automezzi dell’esercito tedesco.
35 In virtù della legge relativa alla privacy e al trattamento dei dati personali (Decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003), d’ora in poi, i riferimenti a personaggi a suo tempo indagati dalla magistratura o meno saranno riportati solo con il nome di battesimo e la lettera iniziale, puntata, del cognome (ad esempio, Lorenzo G.). Per una lettura più fluida, si utilizzerà tale accorgimento anche per i nominativi citati all’interno dei documenti.
36 Emilio Parolari (Chiarano d’Arco, 6 maggio 1892-Trento, 19 aprile 1978). Ragioniere. Irredentista, partecipò al primo conflitto mondiale nell’esercito italiano. Nel primo dopoguerra, militò nel Partito socialista e in Italia libera. Membro del Consiglio direttivo della Legione trentina. Partigiano combattente, fu comandante del Battaglione Gobbi della Brigata partigiana Eugenio Impera operante nel basso Sarca. Nel secondo dopoguerra, partecipò attivamente alla vita politica trentina quale consigliere socialista nel Comune di Trento dal 1951 al 1956. Presidente dell’Istituto autonomo case popolari (IACP) dal maggio 1945 al giugno 1946 e dal febbraio 1947 al luglio 1955.
37 Tiarno, 22 settembre 1909. Insegnante. Partecipò alla Resistenza nelle fila del Battaglione Gobbi dal novembre 1944 al maggio 1945.
38 Sottolineato nel testo. Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti penali Corte d’assise ordinaria, Memorandum, 1947, fasc. 15/47.
Lorenzo Gardumi, Violenza e giustizia in Trentino tra guerra e dopoguerra (1943-1948), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, 2009

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Pensionato di Bordighera (IM)
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