Democrazia e libertà nel pensiero di Luciano Canfora

Nell’introdurre il concetto di democrazia e di libertà ho pensato di far riferimento agli studi di Luciano Canfora, uno degli storici più importanti nell’attuale scenario nazionale ed internazionale.
Nel libro “La democrazia, storia di un’ideologia”, la sua riflessione parte dal constatare che nell’opinione comune la democrazia sia un’invenzione greca ma, come testimonia la bozza del preambolo della Costituzione europea diffusa il 28 maggio 2003, questa è una nozione approssimativa e usata ideologicamente. In esso è infatti presa in modo distorto una citazione tratta dall’epitaffio che Tucidide attribuisce a Pericle. Così scrive il nostro storico: «Nel preambolo della Costituzione europea le parole di Pericle tucidideo si presentano in questa forma: “La nostra costituzione è chiamata democrazia perché il potere è nelle mani non di una minoranza ma del popolo intero”. È una falsificazione di quello che Tucidide fa dire a Pericle. E non è per nulla trascurabile cercare di capire si sia fatto ricorso ad una tale “bassezza” filologica. Dice Pericle, nel discorso assai impegnativo che Tucidide gli attribuisce: “la parola che adoperiamo per definire il nostro sistema politico [ovviamente è modernistico e sbagliato rendere la parola politèia con “costituzione”] è democrazia per il fatto che, nell’amministrazione [la parola adoperata è appunto oikèin], esso si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto la maggioranza [dunque non centra il “potere”, e men che meno il “popolo intero”]”. Pericle prosegue: “Però nelle controversie private attribuiamo a ciascun ugual peso e comunque nella nostra vita pubblica vige la libertà”. Pericle fu il maggior leader politico dell’Atene della seconda metà del V secolo a.C. Non ha conseguito successi militari, semmai ha collezionato sconfitte in politica estera, ad esempio nella disastrosa spedizione in Egitto, dove Atene perse una flotta immensa. Però fu talmente abile a conseguire il consenso, da riuscire a guidare quasi ininterrottamente per un trentennio (462-430) la città di Atene retta a “democrazia”. Democrazia era il termine con cui gli avversari del governo “popolare” definivano tale governo, intendendo metterne in luce proprio il carattere violento (kràtos indica per l’appunto la forza nel suo violento esplicarsi). Per gli avversari del sistema politico ruotante intorno all’assemblea popolare, democrazia era dunque un sistema liberticida. Ecco perché Pericle, nel discorso ufficiale e solenne che Tucidide gli attribuisce, ridimensiona la portata del termine, ne prende le distanze, ben sapendo peraltro che non è parola gradita alla parte popolare, la quale usa senz’altro popolo dèmos) per indicare il sistema in cui si riconosce. Prende le distanze il Pericle Tucidideo, e dice: «si usa democrazia per definire il nostro sistema politico semplicemente perché siamo soliti far capo al criterio della “maggioranza”, nondimeno da noi c’è libertà» <18. Poco dopo, nell’epitaffio, Tucidide scrive riguardo a Pericle che sotto il suo governo ad Atene ci fu «a parole la democrazia, ma di fatto il governo del pròtos anèr», che Canfora traduce con “principato”, avvicinando molto le figure del tiranno Pisistrato a Pericle, come notò Hobbes «il quale esordì con una traduzione di Tucidide (1628) decisiva per la sua evoluzione intellettuale, e giunse alla conclusione che Tucidide avesse collocato sia Pisistrato sia Pericle nel novero dei “monarchi”, e che, pertanto, Tucidide stesso dovesse considerarsi come uno dei maggiori teorici e assertori della monarchia. Faceva velo a Hobbes la sua visione delle forme politico istituzionali. La sua diagnosi è inesatta ma sommamente rilevante nello scardinare il Tucidide oleografico dei mediocri interpreti che inventano un Tucidide cantore della democrazia in quanto autore dell’epitafio pericleo» <19.
Quindi Canfora mette in risalto come in Pericle la convinzione (e la prassi) era che la democrazia fosse limitata alla maggioranza dei potenti e dei ricchi della città, i quali avevano il lusso di potersi armare in proprio e fare le guerre. Così la democrazia di Pericle era quella dei pari dell’aristocrazia, mentre negli affari privati la libertà veniva garantita a tutti i cittadini. Il potere politico della città era solo dell’oligarchia. La libertà e la facoltà di governare è assicurata solo al gruppo egemone. Il resto del popolo non godeva di tale potere. Le donne ne erano escluse e i prigionieri venivano resi schiavi e la condizione dei non possidenti era molto vicina a quella dei non liberi.
Scrive Canfora: «Indipendenza (sovranità piena) e democrazia vanno insieme. Ciò per varie ragioni, ma soprattutto per una essenziale, che ci porta alla radice stessa dell’antica nozione di cittadinanza e di democrazia in quanto comunità di uomini in armi. Il punto di partenza è infatti. Chi ha la cittadinanza? Chi sono i “tutti” la cui libertà mette in essere la democrazia? La seconda domanda è: anche quando tutti i liberi hanno la cittadinanza, come la esercitano i socialmente più deboli? Questo secondo e molto controverso problema ne implica altri ancora. La questione degli strumenti necessari per poter esercitare effettivamente la cittadinanza (pur in assenza di adeguate risorse intellettuali e materiali), la questione della validità del principio di “maggioranza”, il dilemma tante volte emergente nella concreta prassi politica se debba considerarsi prevalente la “volontà del popolo” o la “legge”, e così via.
È nel fuoco di questi problemi che nasce la nozione – e la parola – demokratìa, a noi nota, sin dalle sue prime attestazioni, come parola dello “scontro”, come termine di parte, coniato dai ceti elevati ad indicare lo “strapotere” (kràtos) dei non possidenti (dèmos) quando vige, appunto, la “democrazia”. […] Se consideriamo l’esempio più conosciuto, e più caratteristico, cioè Atene, constatiamo che, in epoca periclea, a possedere questo bene inestimabile (la cittadinanza) sono relativamente in pochi: i maschi adulti (in età militare), purché figli di padre e di madre ateniese, e liberi dalla nascita. È questa una limitazione molto forte, se si considera che, anche secondo i calcoli più prudenti, il rapporto liberi/schiavi era di uno a quattro. C’è poi da considerare che non sarà stato del tutto trascurabile il numero dei nati da un solo genitore “purosangue” in una città così dedita ai commerci ed ai contatti frequenti col mondo esterno. […] Almeno fino all’età di Solone (VI secolo a.C.), la pienezza dei diritti politici – che costituisce il contenuto stesso della cittadinanza – non era concessa ai nullatenenti. […] La visione della cittadinanza, dominante in epoca classica, è racchiusa nell’identificazione cittadino/guerriero. È cittadino, fa parte a pieno titolo della comunità partecipando alle assemblee decisionali, chi è in grado di esercitare la principale funzione dei maschi liberi, la funzione cui tutta la paidèia li prepara, cioè la guerra. Al lavoro provvedono gli schiavi e, in parte, le donne. Risulta dunque evidente perché una comunità, pur “autonoma” ma immersa in un grande impero che la sovrasta e di fatto la dirige, pratichi una democrazia decurtata. Poiché per lungo tempo essere guerriero implicava la disponibilità dei mezzi per provvedere all’armatura, la nozione cittadino/guerriero si identificò con quella di
possidente» <20. Considerando poi le due comunità, quella di Atene e quella di Sparta, Canfora nota come Isocrate coglieva un elemento sostanziale, che cioè in entrambe la sede della sovranità è la stessa: «In entrambe le comunità, e questo è un tratto distintivo di tutto il mondo antico finché non entrerà in crisi la forma stessa della città-Stato, il corpo decisionale è il corpo combattente. Perciò la cittadinanza è un bene prezioso, che si concede con parsimonia, e che esige ed implica requisiti ben fermi ed escludenti, miranti a delimitare al massimo il numero dei beneficiari. La divaricazione risiede semmai nel modo in cui le due comunità hanno segnato il confine tra libertà e non libertà. In Atene i liberi hanno ridotto a non-persone i non liberi, e dopo Solone – che ha recuperato alla libertà ceti immiseriti che andavano scivolando nella schiavitù per debiti – si è aperto un baratro rimasto incolmabile, tra libertà e schiavitù. […] In Sparta la stratificazione sociale ha coinciso con la stratificazione castale ed etnica tra Dori dominanti e popolazioni sottomesse ridotte dai guerrieri-dominatori a differenti gradi e modi di dipendenza. Ma gli Spartani “purosangue”, o Spartiati, così come gli Ateniesi “purosangue”, erano “liberi e uguali”» <21.
Proprio la dicotomia libertà-schiavitù, e la loro relazione con la democrazia, sarà al centro delle ulteriori riflessioni in cui Canfora mostra come democrazia e libertà si siano trovate in conflitto nel mondo greco e tanto più nel mondo attuale in cui il trionfo della libertà individuale corrisponde ad un grave deperimento dei valori democratici. Con ampi riferimenti documentali segue le varie fasi dello sviluppo storico della civiltà europea e di quella italiana in particolare, seguendo le rivoluzioni, francese, inglese, americana, avendo radicato il presupposto del valore della Rivoluzione del 1789 come evento matrice di tutta la successiva storia d’Europa verificando quello che acutamente esprime in un altro testo: «Tutte le aporie che sorgono dai fallimentari tentativi di dare una definizione peculiare della “democrazia”, capace di adattarsi a quell’inquietante fenomeno che è la “democrazia realizzata”, nascono dal fatto che non volentieri si prende atto del dato sostanziale: che cioè anche le cosiddette democrazie si fondano sul predominio di élites. È toccato a Raymond Aron, noto difensore del “liberalismo” contro il “marxismo” più o meno immaginario dell’intellighenzia francese degli anni Sessanta e Settanta, di mettere il dito sul fatto capitale. In un saggio intitolato non a caso “Del carattere oligarchico dei regimi costituzionali-pluralistici”, egli osserva acutamente, e pur tuttavia in un contesto mirante a connotare i regimi “costituzionali-pluralistici” come i migliori possibili: “Non è possibile concepire un regime che, in certo senso, non sia oligarchico”. E lo spiega osservando: “l’essenza stessa della politica è che le decisioni vengano prese non dalla collettività, ma per la collettività”» <22.
Canfora analizza anche l’attuale attacco alla democrazia attuato con lo svuotamento dei sistemi costituzionali, elettorali e organizzativo-amministrativi, via via registrati nel corso dell’evoluzione storica, come nel caso della Costituzione repubblicana italiana, nata dalla Resistenza antifascista, dove i sacrosanti principi della giustizia sociale sono rimasti lettera morta. Il tentativo della legge Scelba, la famosa legge truffa, del 1953 – il premio di maggioranza, l’attuale bipolarismo italiano, nato con la morte del sistema elettorale proporzionale e l’entrata in vigore del maggioritario, e i candidati scelti direttamente dai partiti sono esempi di un lento e progressivo esautoramento della democrazia.
Canfora scrive: «Torna dunque, definitivamente, in auge in occidente il sistema “misto”, del quale i sistemi elettorali maggioritari sono lo strumento principe. Più che la limitazione esplicita dei diritti
degli altri, che si da in un sistema misto di tipo classico (suffragio ristretto), si preferisce la limitazione indiretta (leggi elettorali maggioritarie). Questa maggiore souplesse si spiega con varie ragioni: il principio democratico (“un uomo un voto”) non è più archiviabile in modo diretto; inoltre appare preferibile una situazione in cui anche chi viene deprivato del proprio peso politico venga portato a pensare – magari contro i propri interessi – che la “governabilità” è un valore per tutti (quantunque essa di fatto consiste nella più spedita gestione del potere da parte dei ceti più forti). Peraltro una tale souplesse, o anche “eleganza” di comportamenti, è possibile, perché comunque, per intanto, i poteri decisivi si sono sottratti al predominio degli organi elettivi, e sono confortati dal “plebiscito dei mercati”, ben più che da quello dei voti. Il potere è altrove e la creazione di organismi sovranazionali “tecnici”, a carattere europeo (i quali fisicamente stanno “altrove”), ha contribuito molto alla dislocazione fuori del controllo dei parlamenti nazionali delle decisioni fondamentali per l’economia» <23. Ad esempio per quel che riguarda lo stato sociale (pensioni), quel che non riescono a fare i governi in materia di riduzione per un chiaro motivo elettorale, possono farlo questi poteri sovranazionali, oggi denominati “trojka”.
Continua il nostro storico: «a questo punto entrano in scena i remoti, invisibili, “tecnici” delle istituzioni “europee”. Gli “economisti” in servizio presso tali istituzioni fanno sapere che il Documento di programmazione economica del governo italiano “non corrisponde ai parametri di Maastricht” proprio perché non sufficientemente drastico in materia di politica sociale (pensioni). Una volta costruita la gabbia di acciaio che sta “altrove”, la battaglia è persa, è solo questione di tempo e di gradualità: il ricatto dei parametri è perfetto, e nessuna organizzazione di lavoratori è in grado di andare a combattere direttamente contro gli appartati e irraggiungibili “sacerdoti” di quei parametri. In un tale quadro il giocattolo elettorale, purché “depurato” e creatore automatico di parlamenti a prevalenza moderata in entrambi gli schieramenti, resta in funzione. E l’abrogazione soft del suffragio universale viene comunque compensata dalla graziosa concessione di continuare a farsi ciclicamente legittimare attraverso tornate elettorali.
Insomma, nell’odierno funzionamento delle “democrazie” parlamentari il sistema misto si afferma su due piani: come limitazione dell’efficacia effettiva degli organismi elettivi (che finiscono per l’assolvere ad una funzione di contorno o di ratifica rispetto a poteri di tipo oligarchico: soprattutto nel campo dell’economia e della finanza), e come ritocco tecnico (leggi elettorali maggioritarie: si teme infatti che il proporzionalismo puro inceppi il meccanismo). L’eliminazione del sistema proporzionale fu la prima preoccupazione di Mussolini appena nominato presidente del Consiglio» <24. E ancora: «Lo svuotamento delle “democrazie progressive”, cioè del contenuto concreto dell’antifascismo tradotto in norme costituzionali, è avvenuto in due direzioni convergenti: sul piano istituzionale del rafforzamento dell’esecutivo e con leggi elettorali che spostano l’elettorato verso il centro e selezionano con criterio censitario il personale politico, producendo la definitiva sconfitta del suffragio universale; sul piano sostanziale con l’accentuarsi della “presa” delle oligarchie che contano sull’intera società (impoverimento dell’efficacia legislativa dei parlamenti, accresciuto potere degli organismi tecnici e finanziari, diffusione capillare della cultura della ricchezza, o meglio del mito e della idolatria della ricchezza attraverso un sistema mediatico totalmente pervasivo» <25.
Per concludere questa breve introduzione al rapporto che storicamente si è dipanato, fra democrazia e libertà, mi sembra importante riportare la lucida e spietata conclusione che Luciano Canfora ci lascia, immettendo anche un barlume di speranza: «Quella che invece, alla fine – o meglio allo statuto attuale delle cose – ha avuto la meglio è la “libertà”. Essa sta sconfiggendo la democrazia. La libertà beninteso non di tutti, ma quella di coloro che, nella gara, riescono più “forti” (nazioni, regioni, individui): la libertà rivendicata da Benjamin Constant con il significativo apologo della “ricchezza” che è “più forte dei governi”; o forse anche di quella per la quale ritengono di battersi gli adepti dell’associazione neonazista newyorkese dei «Cavalieri della libertà». Né potrebbe essere altrimenti, perché la libertà ha questo di inquietante, che o è totale – in tutti i campi, ivi compreso quello della condotta individuale – o non è; ed ogni vincolo in favore dei meno «forti» sarebbe appunto, limitazione della libertà degli altri. È dunque in questo senso rispondente al vero la diagnosi leopardiana sul nesso indissolubile, ineludibile, tra libertà e schiavitù. Leopardi crede di ricavare questa sua intuizione dagli scritti di Linguet e di Rousseau: ma è in realtà quello un esito, un apice della sua filosofia. Linguet e Rousseau dicono meno. È un punto d’approdo, inverato compiutamente soltanto nel nostro presente, dopo il fallimento delle linee d’azione e degli esperimenti originati da Marx. La schiavitù è, beninteso, geograficamente distribuita e sapientemente dispersa e mediaticamente occultata» <26. Una schiavitù – annota il Leopardi nello Zibaldone – che, lontana dall’essere stata debellata, fonda la libertà dei liberi e ne è principio.
Conclude Canfora: «Per ritornare dunque al punto da cui siamo partiti i bravi costituenti di Strasburgo, i quali si dedicano all’esercizio di scrittura di una “costituzione europea”, una sorta di mansionario per un condominio di privilegiati del mondo, mentre pensavano, tirando in ballo il Pericle dell’epitafio, di compiere non più che un esercizio retorico, hanno invece, senza volerlo, visto giusto. Quel Pericle infatti adopera con molto disagio la parola democrazia e punta tutto sul valore della libertà. Hanno fatto ricorso – senza saperlo – al testo più nobile che si potesse utilizzare per dire non già quello che doveva servire come retorica edificante, bensì quello che effettivamente si sarebbe dovuto dire. Che cioè ha vinto la libertà – nel mondo ricco – con tutte le terribili conseguenze che ciò comporta e comporterà per gli altri. La democrazia è rinviata ad altre epoche, e sarà pensata, daccapo, da altri
uomini. Forse non più europei» <27.
[NOTE]
18 L. Canfora, La democrazia, storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp.12-13
19 Ivi, pp. 14-15
20 Ivi, pp. 33-34
21 Ivi, pp. 36-37
22 L. Canfora, Critica della retorica democratica, Laterza, Roma-Bari, 2002
23 Ivi, pp.317-318
24 Ivi, pp. 318-319
25 Ivi, p. 324
26 Ivi, pp. 365-366
27 Ivi, pp. 366-367
Claudio Pettinotti, La democrazia attraverso i diritti nel pensiero di Luigi Ferrajoli, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015

Informazioni su adrianomaini

Pensionato di Bordighera (IM)
Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento