Il caso Feltrinelli rimase irrisolto

Il 1972 fu un anno drammatico per l’Italia: ci fu un’altra strage di matrice fascista, la strage di Peteano; venne ucciso l’editore Feltrinelli e fu ucciso uno dei protagonisti legati alla storia di Piazza Fontana, ovvero il commissario Calabresi.
Innanzitutto, si parlerà della strage di Peteano. Questo episodio potrebbe sembrar avere minore importanza a causa del basso numero di vittime; in realtà è molto importante poiché ci fornisce un quadro chiaro del modus operandi di Ordine nuovo e della sua cellula nel Triveneto <76. Sezioni di ON erano sorte nelle principali città dell’area, come la famosa cellula padovana di Freda e Ventura. Un’altra cellula molto attiva era quella di Udine guidata dai gemelli Gaetano e da Vincenzo Vinciguerra, grandi estimatori di Evola. Dal 1971 la cellula triveneta iniziò a far uso di esplosivi. Nel maggio del 1972 Vinciguerra e altri membri del movimento imbottirono di esplosivo una FIAT 500 e la lasciarono nel bosco di Peteano in provincia di Gorizia. Dopo aver sparato alcuni colpi sul parabrezza, fecero una telefonata anonima ai Carabinieri denunciando la presenza della macchina e invitandoli a venire sul luogo del ritrovamento. Una volta arrivati, i Carabinieri aprirono il cofano facendo esplodere la bomba; il bilancio fu di tre morti e un ferito. Le indagini, inizialmente, puntarono ad un nucleo di Lotta Continua, una delle più grandi formazioni della sinistra extraparlamentare. Fu però presto chiara l’inconsistenza di questa “pista rossa”. In seguito, vennero indagati alcuni pregiudicati locali. Tutti gli indizi che portavano ad una “pista nera” vennero ignorati. I colpevoli vennero individuati solamente nel 1984 e unicamente perché fu Vinciguerra stesso a confessare spontaneamente. Egli non ripudiò le sue azioni e non mostrò pentimento, anzi, amava definirsi un “soldato politico”. Per Vinciguerra, il suo era realmente un atto rivoluzionario perché, al contrario delle classiche stragi, non era rivolto alla folla ma direttamente agli uomini dello Stato <77. Venne in seguito dimostrato che le indagini erano state viziate: fu impedito ad un maresciallo di repertare due bossoli calibro 22 trovati sul posto, i bossoli vennero menzionati nel verbale ma questo fu sostituito, infine, le firme in calce del tenente si rivelarono false. Un esame dei bossoli avrebbe dimostrato che la pistola apparteneva a Carlo Ciccuttini, membro di ON e segretario di una sezione locale del MSI. Inoltre, la squadra che indagò sulla strage faceva riferimento al generale Palumbo, collaboratore del SIFAR. La sentenza di primo grado condannò non solo gli esecutori materiali, ma anche coloro che avevano tentato di depistare le indagini. Nel 1989 la sentenza d’appello assolse coloro che avevano depistato le indagini, ma la Cassazione confermò la sentenza di primo grado.
Sempre nel marzo del 1972 viene ritrovato il corpo dell’editore Giangiacomo Feltrinelli a Segrate in provincia di Milano. Feltrinelli, oltre che per la sua attività di editore, era noto per aver fondato nel 1970 i Gruppi d’Azione Partigiana (GAP), un movimento di ispirazione guevarista e tra i più attivi gruppi armati della sinistra extraparlamentare. Ad ogni modo, il corpo di Feltrinelli fu ritrovato presso un traliccio dell’alta tensione e la prima impressione fu quella della morte accidentale nel tentativo di minare il traliccio <78. Si sospettò che il ritrovamento del cadavere fosse stata una messa in scena dei servizi segreti: essi non solo si sarebbero liberati di una personalità scomoda, ma avrebbero anche accusato Feltrinelli di voler compiere un attentato con quel traliccio e avrebbero rilanciato la “paura rossa” <79. ON aveva tentato un anno prima di rapire l’editore e aveva anche tentato di addossargli la responsabilità della Strage di Piazza Fontana. La figura di Feltrinelli rimane tutt’oggi controversa: un editore miliardario, ex partigiano, estimatore della guerriglia, clandestino e amico intimo di Fidel Castro. Dopo la sua morte, il Secolo d’Italia iniziò una campagna di diffamazione contro di lui accusandolo di voler compiere un attentato che avrebbe paralizzato Milano e ideatore «di un piano sovversivo di vasta portata» <80. Il caso rimase irrisolto.
Altro noto fatto di cronaca del 1972 fu l’uccisione del Commissario Calabresi: a maggio, il commissario venne freddato sotto casa sua da tre colpi di pistola. Calabresi era stato accusato dalla sinistra extraparlamentare di essere il responsabile della morte dell’anarchico Pinelli. Eppure, Calabresi non era presente durante il “balzo felino” di Pinelli; erano presenti altri cinque rappresentanti delle forze dell’ordine. Ad esempio, il questore Marcello Guida. Guida trattenne Pinelli senza richiedere l’autorizzazione del fermo al magistrato e fu lui a bollare il suicidio di Pinelli come un atto di autoaccusa. Al contrario Calabresi descrisse sempre Pinelli come una brava persona <81; Guida era certamente più responsabile rispetto a Calabresi. Venne usato il commissario come capro espiatorio perché fu lui ad invitare Pinelli in questura e a condurre l’interrogatorio. Inoltre, venne diffusa una falsa nota secondo la quale Calabresi avrebbe frequentato un corso di formazione presso la CIA e che fosse legato al generale Edwin Walker, molto stimato nell’ambiente della destra razzista statunitense <82. A rafforzare l’immagine negativa del commissario contribuì il film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, uscito nelle sale nel 1970. Il commissario del film è un individuo losco e perennemente impunito per i suoi crimini. Il film non è legato alla vicenda di Piazza Fontana o al caso Pinelli, ma il giornale L’Unità si chiese quanti commissari del genere ci fossero in Italia e se, magari, anche Calabresi fosse un commissario poco limpido. Anche nell’opera teatrale di Dario Fo, “Morte accidentale di un anarchico”, realmente ispirata al caso Pinelli, il personaggio del commissario viene rappresentato come “il terrore dei sovversivi”. Dopo la messa in scena, Lotta continua iniziò una violenta campagna di diffamazione nei confronti del commissario che continuò fino ai giorni seguenti la morte di questi. Le ipotesi sui mandanti dell’omicidio furono molte: si sospettò di una ritorsione degli anarchici; si sospettò di un gruppo di estrema destra sul quale Calabresi stava indagando, le Squadre d’Azione Mussolini (SAM); venne anche presa in considerazione l’ipotesi che il mandante fosse Feltrinelli. Un anno dopo la morte di Calabresi, venne inaugurato un busto in suo onore nel cortile della questura. A presenziare all’inaugurazione vi era il Ministro dell’Interno Mariano Rumor. Gianfranco Bertoli, persona dall’ideologia confusa tra comunismo e anarchia, lanciò una bomba a mano tra i partecipanti alla commemorazione. Bertoli però non colpì Rumor, il suo principale obiettivo. Bertoli gridò: «Morirete tutti come Calabresi e ora uccidetemi come Pinelli». Bertoli venne arrestato per l’attentato alla questura e indagato per l’omicidio Calabresi, ma non era lui l’assassino. L’epilogo del delitto Calabresi giunse a conclusione solo nel 1988, quando Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, confessò di aver ucciso il commissario insieme a Ovidio Bompressi.
Mandanti dell’omicidio erano i dirigenti di Lotta Continua: Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.
[NOTE]
76 F. Ferraresi, Minacce alla democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Feltrinelli, Milano, 1995.
77 Ibidem
78 M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Bari-Roma, 2015.
79 Ibidem
80 Ibidem
81 Ibidem
82 Ibidem
Ida Maria Galeone, Democrazia in bilico: gli anni di piombo e la strategia della tensione in Italia, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2021-2022

A determinare un ulteriore innalzamento del livello di tensione nel Paese fu la notizia della misteriosa morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, ritrovato morto il 14 marzo a Segrate. Il caso Feltrinelli, ancora oggi irrisolto, diede vita sostanzialmente a due possibili interpretazioni: da un lato ad una sfortunata morte dovuta ad un “incidente sul lavoro”, dall’altro ad un omicidio.
A cavalcare l’onda circa l’ennesimo episodio scatenato dalla violenza comunista si inserì ancora una volta la destra missina. Sulla copertina de «L’Italiano», rivista politica dell’area romualdiana, l’episodio venne riportato come chiaro esempio della matrice politica di tutti «i disordini, le violenze e la matta bestialità che hanno compromesso la nostra vita». <231
In tale contesto politico Almirante adottò una strategia chiara e decisa, volta a sottolineare l’importanza, in termini numerici, del voto a destra. I punti chiave della propaganda missina seguirono una linea non più anti-sistemica, bensì di un’alternativa, non eversiva, ai governi di centro-sinistra. <232 Per riuscire a guadagnare consensi dal bacino elettorale storicamente democristiano, il MSI si presentò quindi come «componente di un blocco d’ordine alternativo al centro-sinistra che avrebbe arrestato il processo d’infiltrazione “verticale” del Pci nelle istituzioni e dall’altro come elemento attivistico di contrasto “orizzontale” alla penetrazione sovversiva». <233 Per rendere tale disegno possibile Almirante era consapevole della necessità di dover replicare, su scala nazionale, i numeri delle elezioni amministrative dell’anno precedente, raggiungendo quindi una cifra tra i quattro e i cinque milioni di voti, pari a un centinaio di deputati. <234
I risultati delle urne emisero un verdetto contraddittorio per il partito missino.
[NOTE]
231 Seminatori della violenza, in «L’Italiano», marzo 1972, XIII, 5. In D. Conti, L’anima nera della repubblica, cit., p. 168.
232 Ibidem, p. 170.
233 Ibidem, p. 170-171.
234 G. S. Rossi, Alternativa e doppiopetto, cit., p. 217.
Mirko Cerrito, La strage di Peteano e l’amnistia di Almirante. Storia e analisi del rapporto tra destra missina e destra eversiva, Tesi di Laurea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2019-2020

Nel 1981 la lapide [dedicata a Giuseppe Pinelli e posta nell’aiuola di piazza Fontana a Milano] venne distrutta e poi ricostruita, nel 1986 il sindaco ricordò che la lapide non aveva mai avuto una autorizzazione ufficiale e l’anno successivo Pilitteri, che aveva sostituito Tognoli nella carica di Sindaco, propose di togliere la lapide per collocarla nel Museo di storia contemporanea di Milano e questa decisione scatenò polemiche tali che il sindaco non diede seguito alla sua proposta e la lapide rimase nell’aiuola in piazza Fontana. Nel 1989 fu il Lisipo, un piccolo sindacato di Polizia, a minacciare di rimuovere la lapide: in realtà questo non successe, ma venne collocata una lapide in ricordo del commissario Calabresi, anche questa senza alcuna autorizzazione, nella caserma di Sant’Ambrogio. Il commissario Calabresi, coinvolto come ben noto nelle indagini sulla strage e ucciso nel 1972, è ricordato con un busto all’interno della questura milanese. All’inaugurazione di questo busto venne collocata una bomba da Gianfranco Bertoli. Nel 1994, in occasione di alcuni lavori, la lapide dedicata a Pinelli venne rimossa ma in consiglio comunale, per l’astensione delle Lega Nord, passò una mozione che chiedeva l’assicurazione che, una volta finiti i lavori, la lapide sarebbe stata ricollocata nel luogo originario. In questa stessa occasione vi fu chi propose di modificare il testo sostituendo ucciso innocente con morto innocente <55. E proprio questa modifica fu fatta dal sindaco Albertini che il 19 marzo 2003, «nel cuore della notte quando è ancora buio» <56, fece sostituire la lapide esistente con una perfettamente identica escludendo il verbo: da ucciso a morto. Questo, come intuibile e prevedibile, diede vita a discussioni e polemiche fortissime tanto che nell’aiuola davanti a piazza Fontana ci sono ora due lapidi, identiche in cui in una si legge morto, nell’altra ucciso: un simbolo estremamente significativo, chiarissima rappresentazione topografica della memoria di quell’evento: divisa, speculare, passionale. Secondo qualcuno il sindaco ha reso giustizia alla memoria del commissario Luigi Calabresi. La nuova versione, sottolinea Albertini, “continuerà a ricordare la morte tragica dell’anarchico Pinelli con la giusta pietà, senza per questo infangare la memoria del commissario Calabresi con un’accusa ingiusta” <57. Per altri questa sostituzione non doveva essere fatta Su posizione diametralmente opposta c’è il Nobel Dario Fo, fuori dalla corsa come primo cittadino alle prossime elezioni, ma coscienza vigile della città. “Vergognoso” l’atto del comune, “un gesto volgare che vuole togliere di mezzo la responsabilità del potere nella morte di un innocente. Non si è trattato di un incidente qualsiasi”. E anche i Ds milanesi definiscono l’atto della giunta “uno sfregio”, stigmatizzando le frasi del sindaco Albertini come completamente “fuori luogo” <58.
[NOTE]
55 J. Foot, La strage e la città: Milano e piazza Fontana, 1969-1999, pp. 206-207.
56 C. Campo, il giornale,
57 C. Campo, Sostituita durante la notte la targa a Pinelli, « il giornale», 19 marzo 2006.
58 «La Repubblica on line», 19 marzo 2006
Cinzia Venturoli, Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, La stazione di Bologna: dal discorso pubblico all’elaborazione didattica. Il data base per la gestione delle fonti, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Anno accademico 2006-2007

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